IL TEMPO DI MORIRE di Francesca Fornario SOGGETTO |
Lo Zitto si chiamava così perché parlava sempre. Quando aveva tre anni sua madre gli aveva regalato un’armonica a bocca. Era l’unico sistema per fargli smettere di dire parolacce. Almeno mentre la suonava. Questa è la ballata dello Zitto, un killer brutale ed eccentrico che conduce un’esistenza piena di spropositi e priva di scrupoli. Fino al giorno in cui scopre che non sarà una pallottola a portarla a compimento, ma un volgare cancro, di quelli che il cinema in genere riserva alle mogli abbandonate con figli a carico e ai mariti, purché esemplari, di donne in cinta. Lo Zitto vive e lavora - o meglio, traffica - a Vitorchiano, pittoresco borgo medioevale cinto da mura smerlate in provincia di Viterbo, teatro della nostra storia e di quella più celebre narrata da Mario Monicelli nell’Armata Brancaleone. Quanto al resto, lo Zitto è un appassionato di opera lirica. Mentre fa fuori la gente canta “Mattinata” di Leoncavallo: “Metti anche tu… la veste bianca… e schiudi l’uscio…”. La sera, per arrotondare la giornata, si esibisce in un locale come voce solista, accompagnato da Girolamo Martuscello alla batteria e dall’Oste al basso. L’Oste è uno che la sa lunga, un filosofo da osteria. Si chiama così in quanto alcolista, non per qualifica professionale. La sua specialità è quella di rimpiangere gli anni Settanta. Bello sforzo, direte. Beh, Parmenide è passato alla storia con un’intuizione assai meno geniale. Quanto a Girolamo Martuscello, suona in un trio perché è troppo timido per esibirsi di fronte a più di due persone per volta. E suona la batteria perché suonare da solo gli mette malinconia. O almeno, questo è quel che dice di lui la voce fuori campo (d’ora in poi, VFC). Ma è buona norma diffidare della VFC. Primo perché fa soltanto della letteratura, e secondo perché sul più bello viene colpita da un proiettile nel corso di una sparatoria e ci resta secca, e da quel momento in poi dovremo fare a meno di lei. In realtà Girolamo Martuscello ha una vita regolare. E' una sregolata. Come tutti, del resto. Nella vita regolare Girolamo è un uomo elegante e riservato, marito irreprensibile e affettuoso di una moglie bella e ingenua (Chantal) che lo ama e lo crede un agente segreto alle dipendenze del governo: un supereroe, un giustiziere del bene. Mentre nella vita sregolata Girolamo è un assassino spietato disposto a morire sul set durante le scene d’azione, dopo aver firmato una liberatoria. Lo Zitto e Girolamo si frequentano in nome della comune convinzione che la musica sia di gran lunga la cosa migliore di quelle che si possono fare tra maschi e senza un pallone. Solo, non riescono a mettersi d’accordo su quale. Uno va matto per la lirica, l’altro concepisce solo il rock. E allora sono giunti ad un accordo. Ciascuno può cantare e suonare quello che gli pare. Gli avventori del locale avrebbero preferito che non lo facessero contemporaneamente, così da poter ascoltare il rock in santa pace, senza lo Zitto che buca i timpani con le sue romanze d’opera. Ma lo Zitto non è certo tipo da avere scrupoli di coscienza. Se è per quello, crede di non averla nemmeno una coscienza. Come crede di non avere un cancro. E si sbaglia. Scopre contemporaneamente di possedere le due cose, L’una (il cancro) più sviluppata dell’altra. Fino a quel momento, lo Zitto non si era mai soffermato a riflettere sulla morte. Non voleva che gli affari entrassero nella sua vita privata. Il fatto è - come spiega al suo cane - che non lui era preparato. Intendiamoci, sapeva che potevano fargli saltare il cervello da un momento all’altro, ma non era pronto per quel genere di morte che ti lascia il tempo di toglierti le scarpe e fare bilanci. Una bella buggeratura per un farabutto impenitente. “Lo sai qual è il guaio di avere il cancro? - dice poi lo Zitto al bambino - che ti costringe a fare discorsi seri”. Il bambino ha 11 anni e un debole per lo Zitto, pure se quello ha cercato di fargli capire con le buone e con le cattive che non vuole mocciosi tra i piedi. Il bambino è il solo a Vitorchiano a non avere un’aria da piccolo teppista. E questo non è che gli renda la vita facile. Il bambino è un bravo ragazzo prima ancora di diventare ragazzo. Da grande farà le scarpe a Bill Gates e sconfiggerà il monopolio della Microsoft: accetto prenotazioni per il film che racconterà la storia. Al bambino potrei dare un nome patetico tipo Semolino, ma non ce ne facciamo niente in quanto lo Zitto lo chiama Moccioso e gli altri non lo chiamano affatto. E poi il bambino ha già abbastanza problemi con la sua faccia d’angelo. Quella volta è andata così. Lui e lo Zitto erano seduti sul muretto che affaccia sulla vallata, e lo Zitto, dopo avergli detto che il guaio di avere il cancro è che ti costringe a fare discorsi seri, ha proseguito: “Dico davvero! Sta a sentire: mi spieghi perché si dice la Lazio e il Parma?”. Il bambino lo ha guardato perplesso, non ha risposto. E lo Zitto - che per conversare non ha bisogno di interlocutori - è andato avanti: “Parma è femminile, giusto? Finisce per “a” ! Bisognerebbe dire la Parma! Come si dice la Roma o la Juventus…” “Chi ti dice che Juventus è femminile? Finisce per “s” !”, ha replicato il bambino “Beh, l’articolo! Come per “la” moglie!” “Uhm. E allora il Perugia?” “Giusto - ha ammesso lo Zitto sconsolato - sono cose che fanno riflettere. Ma con due mesi di vita uno dove lo trova il tempo per pensare a queste stronzate, eh? Cazzo, se penso a tutto il tempo che ho sprecato a ragionare inutilmente di cose serie io…” Già. Il cancro ti obbliga a prenderti sul serio: ecco come ti frega. Questo pensava lo Zitto, ma il bambino voleva vederci chiaro nella faccenda: “Real Madrid, è femminile?” Mettiamola così: due mesi di tempo sono pochi per vivere e decisamente troppi per morire. “Specie se uno vuole andarsene con stile”, si lamenta lo Zitto il giorno che decide di fare una capatina al cimitero per scegliersi il monumento funebre. Lì incontra Amleto, il becchino del paese. Uno che raccoglie i morti ammazati per le strade e li carica sulla sua carriola, scambiando due chiacchere con i malcapitati durante la loro ultima passeggiata. In paese se lo domandano un po’ tutti, e così, appena si trova faccia a faccia con lui, lo Zitto formula la fatidica domanda: “Si può sapere perché ti piacciono tanto i morti?” E quello risponde, senza alzare gli occhi dalla bara che sta seppellendo: “Sono migliori dei vivi, tutto qui” Lo Zitto annuisce: “Perlomeno non ti chiedono dei soldi in prestito” Amleto non reagisce in alcun modo. Uno con quel nome lì non può avere nessun senso dell’umorismo. E’ per questo che lo Zitto si confida con lui: “Credo… non so… pensavo che dovrei fare qualcosa di buono prima di andarmene. Cioè, qualcosa per cui essere ricordato…” “Allora sei a posto - lo rassicura Amleto - Shakespeare dice che ci si ricorda solo del male che uno ha commesso in vita. Quello che facciamo di buono viene seppellito con le nostre ossa. Perciò è fatica sprecata”. Lo Zitto ci riflette un po’ e poi afferma: “Cristo, è la più grossa stronzata che io abbia mai sentito! Il tuo amico deve essersi bevuto il cervello!” “Sì, credo che tu abbia ragione” ammette Amleto, mentre lo Zitto fa un paio di flessioni appoggiato alla tomba, per tenersi in forma, e la conversazione finisce lì. Dal canto suo, la VFC commenta il destino dello Zitto proclamando che “Quando il condor sente vicina la fine, spicca il volo, sale lentamente in quota e poi si lascia cadere nel vuoto”. Retorica, ovvio. Le voci fuori campo sono lì per quello. Prendete le parole più scontate e fatele pronunciare dalla Voce Fuori Campo. Vedrete che ci guadagneranno in autorevolezza. Immaginate una qualunque situazione, una Tonante Voce Fuori Campo e la più ovvia delle osservazioni: “Abramo! Cosa fai con quel coltello puntato su tuo figlio?!”. Che effetto avrebbe fatto detto da un cacciatore di passaggio? Le Voci fuori campo sono come quelli che vi raccontano la fine di un film mentre lo state guardando. Anzi, più moleste, perché del film vi raccontano anche l’inizio. E allora uno che cosa va al cinema a fare? Chiedo scusa, sto divagando. Era tanto per dare un’idea del genere di cose che non troverete in questo film. Ammetterete che scrivere un soggetto andando per esclusione è un’operazione molto laboriosa per una che è alle prime armi: “In questo film non ci sono riferimenti a fatti realmente accaduti e non si parla di Vincent Van Gogh”. D’accordo, si fa una fatica porca. Perciò torniamo al nostro condor. Quando scopre di avere il cancro, lo Zitto medita di fare la fine del condor. Non ci sta a morire a poco a poco vampirizzato dalle flebo. Decide quindi di accettare un qualche pericoloso incarico nella speranza di restarci secco. L’occasione si presenta quando il potente Boss che si fa chiamare Dio, principe del contrabbando delle “bionde” nella zona della Tuscia, chiede aiuto allo Zitto per recuperare le ceneri di suo padre, il Sor Ciccio, morto in America Latina dopo 27 anni di latitanza. Le ceneri del Sor Ciccio sarebbero dovute arrivare a Vitorchiano scortate da uno scagnozzo del Boss che si fa chiamare Dio, ma il tipo è sparito senza lasciare traccia. L’ipotesi più probabile è che qualcuno gli abbia teso un agguato per impossessarsi delle ceneri e chiedere un riscatto, o chissà. Beh, qualunque dannata cosa sia successa, il Boss rivuole quelle ceneri sane e salve, ci siamo capiti? Ci sono 100 testoni in premio per chi gliele consegnerà. Allo Zitto non interessano tutti quei soldi. Non sono poi tanti, lo so, ma se quello che vi sta a cuore è assistere ad uno spettacolo in cui ci si scanna per diventare miliardari, allora vi meritate la televisione. E poi quella è una buona occasione per fare la fine del condor, in mancanza di meglio, perciò il nostro accetta l’incarico senza pensarci due volte. Quanto alla valigetta che contiene le ceneri del Sor Ciccio, noi sappiamo che a prenderla è stato Girolamo. Lo abbiamo visto freddare con un colpo di pistola lo scagnozzo del Boss che si fa chiamare Dio e impossessarsi della valigetta. Girolamo ha eseguito il lavoro per conto del Cavaliere, fratello del Boss che si fa chiamare Dio e magnate della carta igienica. Il cavaliere è in rotta da anni con il fratello criminale, e vuole custodire le ceneri del padre presso di sé. Ora, quando Girolamo viene a sapere che lo Zitto è stato assoldato dal Boss che si fa chiamare Dio per dare la caccia alle Ceneri, temendo di essere scoperto, decide di giocare sporco per salvarsi la pelle e tutto il resto. Dice allo Zitto che ha avuto qualche soffiata riguardo al rapimento delle ceneri e si offre di aiutarlo nella ricerca, in cambio del 50 per cento della ricompensa. Lo Zitto accetta, e i due si mettono al lavoro. Ovviamente, però, le soffiate di Girolamo si rivelano sempre sbagliate. I due perlustrano da cima a fondo ogni angolo di ogni casa in cui Girolamo sostiene di avere fondati sospetti che vi siano nascoste le ceneri, ma le ceneri non vengono mai a galla. E così, lo Zitto comincia a nutrire qualche sospetto sulla buona fede di Girolamo. A metterlo involontariamente al corrente di come stanno le cose, è Anna, una prostituta alla quale lo Zitto fa da pappa (amministratore delegato, dice lui) facendosi pagare in natura. Non vuole un soldo da lei, solo la obbliga a fare cose ridicole per appagare i suoi fantasiosi appetiti sessuali. Uno che spara a sangue freddo alla gente ha bisogno di qualcosa di più di un film porno per eccitarsi. E poi a lei sta bene così: Anna si considera un’artista, studia diligentemente la parte prima di andare in scena e organizza per i suoi clienti numeri strepitosi, interpretando ruoli sempre nuovi. E’ durante uno di questi numeri che il Cavaliere, fratello del boss che si fa chiamare Dio e affezionato cliente di Anna, confessa alla donna di aver assoldato un killer per recuperare le ceneri di suo padre e soffiarle al fratello. Anna non sa che il killer in questione è Girolamo, ma quando racconta l’episodio allo Zitto quello ci mette poco a fare due più due, alzarsi dal letto di Anna che lo guarda interrogativa da sotto alla parrucca bionda da Puffetta e precipitarsi al locale per stanare Girolamo, senza dare troppa importanza al dettaglio che è mezzo nudo e colorato di azzurro puffo. Tra i due scoppia una lite furibonda nella quale intervengono i reciproci scagnozzi, che dalle mani passano ai colpi di pistola. E’ uno di questi colpi che fa fuori la VFC. Mentre se ne sta lì, fuori campo, a raccontare la sparatoria in corso come fosse accaduta anni prima, si interrompe e caccia un grido. E poi, con voce flebile, mormora: “Dite al mio editore che…”. Stecchita. Morte alla VFC. “Avete fatto fuori lo scrittore! Porca Zozza, mi state a sentire? avete fatto fuori lo scrittore!”, grida l’Oste cercando inutilmente di richiamare l’attenzione dei presenti. “Glielo dicevo io di starsene bello comodo nel suo studio, con la musica classica e le pantofole, ma lui no! Dice che solo qui trovava l’ispirazione per il suo romanzo…”. Ma la VFC non è l’unica vittima della sparatoria. Anche Girolamo finisce a terra in un lago di sangue. “Toccava a me!”, mormora lo Zitto sconsolato, inginocchiato davanti al cadavere dell’amico. E il bambino, che non ha il coraggio di togliersi le mani da davanti agli occhi, cerca di confortarlo come può: “Forse era malato anche lui!”. No, lo Zitto non aveva intenzione di far fuori Girolamo. In fondo erano amici. Tanto che, dopo averlo ucciso, si dà da fare per salvargli la faccia. Certo, ormai Girolamo è carne per i vermi, ma sua moglie, la dolce e ingenua Chantal, non dovrà mai sapere come sono andate le cose. Deve continuare a pensare di aver sposato un eroe della patria. E così, allestito un funerale in pompa magna, lo Zitto provvede a far sì che il prete dica molte e nobili cose in memoria dell’amico, minacciandolo con una pistola. Il prete, che in vita sua non ha mai avuto ragione migliore di fare un panegirico, si lancia in lodi sperticate. La vedova scoppia in lacrime, orgogliosa e commossa, ogni volta che quello ricorda ai presenti che razza di eroe fosse Girolamo, e quanto bene ha fatto alla patria, e di quella volta che fece scudo al Papa con il suo corpo. E la memoria di Girolamo Martuscello è salva. Sistemata la reputazione dell’amico, allo Zitto non resta che giocarsi la propria. Fare irruzione nella villa del Cavaliere per recuperare le ceneri del Sor Ciccio, consegnare al Boss che si fa chiamare Dio e intascare la ricompensa. Peccato che durante la colluttazione, nel corso della quale lo Zitto si espone spavaldamente al fuoco incrociato degli uomini della sicurezza, uscendone paradossalmente illeso, le ceneri finiscono mangiate dal cane da guardia del magnate della carta igienica. Con la complicità di Anna, lo Zitto sostituisce quel che resta del povero Sor Ciccio con origano, polvere, cenere di sigaretta. Non ha importanza cosa e non lo sapremo mai. Saremo indotti a pensare che per sostituire le ceneri lo Zitto abbia arrostito il povero gatto di Anna, il quale però compare nell’ultima scena acciambellato tra le braccia della sua padrona. Quello che sappiamo è che il Boss che si fa chiamare Dio continuerà per tutta la vita ad adorare un feticcio di polvere al posto del padre. Il quale del resto non era certo stato un modello di onestà nei confronti dei figli. La sua ventennale latitanza era cominciata dopo aver proferito ai ragazzi le solenni parole: “E adesso voi due accecatevi e contate fino a cento, intesi?”. Ora però avviamoci alla conclusione, prima che il film finisca per inerzia, causa decimazione dello Staff artistico. Lo Zitto è morto, e gli amici devono adempiere le sue ultime volontà. Quelle che lo Zitto ha dettato ad Anna, la volta in cui le ha fatto redigere il suo testamento. Lei, ovviamente, pensava che fosse uno dei soliti trucchetti dello Zitto per farselo venire duro, lo trovava persino divertente. Riteneva che ci fossero della affinità tra quel gioco e il solitario dei 4 re. Il fatto è che Anna non poteva credere alla malattia dello Zitto. Quando lui le diceva che stava per morire, lei ribatteva: “Piantala! Ma se non ti ho mai visto così in forma: sei anche dimagrito!”. Allora lui spiegava che sì: 13 chili nelle ultime due settimane. E lei gli chiedeva come aveva fatto a rinunciare ai carboidrati. Perciò Anna piange come una fontana il giorno in cui legge ad alta voce, davanti agli amici raccolti, il testamento che lo Zitto le ha dettato. Dove c'è scritto che ai compagni di una vita potrà sembrare folle lasciare tutto a dei perfetti estranei scelti a caso dall’elenco telefonico, ma il fatto è che sostituirsi al caso ti fa sentire Dio, e quando uno è morto ha un gran bisogno di sentirsi divino. E così, mentre Anna legge, vediamo scorrere le immagini di una vecchietta che apre la porta di casa, guarda interrogativa lo scagnozzo dello Zitto che le porge un foglio da firmare, poi guarda la macchina sportiva con l'assetto ribassato e le donne nude dipinte sulla carrozzeria parcheggiata davanti a lei, spalanca la bocca, firma, sale in macchina, mette in moto, sente il rumore del motore modificato e sorride. Quanto ai 100 testoni, finiranno anche loro nelle mani di un ignaro e sconosciuto abbonato della Telecom. Pizzichetti Agostino, carabiniere. Se qualche attore che aspira ad avere una parte sta leggendo questo soggetto, e non ha ancora trovato un personaggio adatto a lui, non tema: dopo i titoli di coda ci mettiamo un finto back-stage del casting, in omaggio a tutti quelli che vogliono una particina a tutti costi. Sfilano davanti al regista una ragazza truccattissima e prosperosa (“...So cantare, ballare la Macarena, el Tipitipitero...”); un omone muscoloso che scopre gagliardamente l’avambraccio tatuato e lo irrigidisce facendo la faccia da cattivo; una madre che pizzica le guance della figlia alla Anna Magnani in “Bellissima” (“...E dategliela, un particina!”); un vecchio che suona il flauto facendo la scala di note; un ragazzo brufoloso di 17 anni (“Io faccio parte della corale di Vitorchiano, parlo inglese e francesce, sono rappresentante di classe e capo scout... anche per dei ruoli di impegno politico io…”), un tipo in divisa da karatè che fa dei versi assurdi e poi spezza una doghetta di legno... CHIUDI |